Il ventre di Napoli, Matilde Serao

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view post Posted on 23/3/2016, 21:32
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‘Con due soldi si compra un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta; con due soldi di maruzze, si hanno le lumache, il brodo e anche un biscotto intriso nel brodo; per due soldi l’oste, da una grande padella dove friggono confusamente ritagli di grasso di maiale e pezzi di coratella, cipolline e frammenti di seppia, cava una grossa cucchiaiata di questa miscela e la depone sul pane del compratore, badando bene a che l’unto caldo e bruno non coli per terra, che vada tutto sulla mollica, perché il compratore ci tiene.’





Dove si può trovare tale pittoresco e colorito paesaggio? Su quale suolo camminano le figurine così nettamente scolpite dai mestieri gastro-ambulanti? Le coste di quale città dell’italico stivale lambisce il mare nelle cui acque trovano cottura polpi speziati? Napoli. Quale altra città potrebbe altrimenti suonare così unica, caotica e contemporaneamente seducente?
Sono passati un bel po’ d’anni da quando Matilde Serao nel suo Il ventre di Napoli (1884) ha reso la propria decrizione/percezione della città eterna partenopea. Ci ha parlato dei bassi di Napoli, con la loro fauna misera, disperata, esasperata, eppur mai veramente abbandonata, mai veramente orbata di uno spirito vitale che le ha permesso di essere la città multicolore che è giunta sino al XXI secolo. Opera da legger tutta d’un fiato (io stessa ho impiegato un mezzo pomeriggio per farlo), scevra di toni moralist(icheggiant)i, la si può paragonare ad un dipinto realistico eseguito con colori vivaci e vibranti grazie ad una mano ferma e sapiente. Senza tempo.

Edited by aleperri - 3/4/2019, 12:14
 
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