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| Mi sono imbattuta in questo lavoro di Kafka piuttosto tardi nella mia vita scolastica, e cioè in occasione dell'esame di Letteratura Tedesca II (più di dieci anni fa). Tuttavia, anche a distanza di diversi anni dall'ultima (ri)lettura dell'opera in questione, ricordo - almeno - parte della critica che faceva parte del programma d'esame.
Il protagonista, come ha detto giustamente un utente in un post precedente a questo mio, si risveglia una mattina nel corpo di un insetto, senza saperne il motivo e senza saperlo in seguito. La cosa che sorprende di più, a mio avviso, è appunto che non se ne sorprenda. Gregor Samsa accetta la sua nuova situazione come se fosse stata non solo naturale, bensì meritata, una sorta di punizione divina dalla quale non poteva né voleva sfuggire. Samsa non è altri che l'alter ego di Kafka stesso, il quale - una volta di più - esterna uno dei temi che più gli stanno a cuore e che più percepisce quali personali, vale a dire la sensazione di essere inadeguato, di essere colpevole (per motivi religiosi), di trovarsi in difetto. Un racconto che ha tutto il diritto di annoverarsi nel Gotha dei grandi classici.
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